La mia imprevista e provvidenziale scoperta della medicina tradizionale in Sri Lanka

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5 min readJan 6, 2021
La mia imprevista e provvidenziale scoperta della medicina tradizionale in Sri Lanka

Tutti i viaggiatori avventurosi cercano di sfuggire alla loro realtà quotidiana e di essere sorpresi dall’esotico e dall’inconsueto. Ma cosa succede quando, durante una giornata perfetta in spiaggia, un animale sconosciuto decide di pungerci, il nostro piede comincia a gonfiarsi come un pallone da calcio e l’ospedale più vicino dista 50 chilometri? Eddie ci racconta come il suo concetto di “pronto soccorso” sia decisamente cambiato durante il suo viaggio in Sri Lanka.

Non credo di essere ipocondriaco. Davvero. Però quando viaggio porto sempre con me alcune medicine di base per assicurarmi che non ci siano problemi che possano rallentare il mio cammino. Normalmente Ibuprofene, Aulin, antistaminici, Paracetamolo, qualcosa contro le zanzare (pre), delle pasticche contro la malaria (post), arnica per le infiammazioni, crema solare (pre), crema di aloe vera (post), di solito coprono le mie necessità.

Da bravo maniaco del controllo, parto organizzato, tutto qua. Ma non si è mai abbastanza preparati, me lo diceva la mia nonna, e succede sempre qualcosa che non avevo previsto, rompendo qualsiasi schema nella mia testa e costringendomi a rifornirmi di nuove medicine che si aggiungono alla lista dei preparativi per un viaggio.

A volte però la medicina allopatica semplicemente non ce la fa. Soprattutto quando il kit di sopravvivenza non copre punture di animali esotici e non c’è una farmacia o ospedale nel raggio di 50 chilometri. E così che la medicina non convenzionale entra in gioco e sostituisce quella tradizionale. Certo! Ma da dove tiriamo fuori la medicina alternativa se siamo sperduti su una spiaggia isolata dal resto del paese? Per fortuna in Sri Lanka l’ayurveda, che per noi è medicina alternativa, è medicina ufficiale; le farmacie non sono altro che piccole botteghe di paese piene di erbe locali e conoscenze ancestrali mentre gli ospedali nei centri più piccoli sono le case dei dottori che curano riequilibrando corpo e spirito seguendo i principi olistici di questa pratica millenaria.

In un paese dove le tradizioni hanno ancora radici forti nel tessuto sociale e in cui le spiagge sono piccoli paradisi dove la natura si fa generosa, è facile distrarsi. E quando dico distrarsi mi riferisco al fatto che un essere in incognito, perché al giorno d’oggi ancora non so cosa mi avesse punto, decise di infilare una parte del suo corpo nella pianta del mio piede destro. Tempo due minuti, addio prospetto di un tramonto in spiaggia: il mio piede stava già cambiando forma e dimensione. Una decina di bambini abbandonarono immediatamente la loro partita di cricket per venire a soccorrermi con teorie e rimedi. Teorie e rimedi che non conosceremo mai causa problemi di comunicazione (purtroppo non parlo il singalese!).

Frustrato per non poter esprimere la mia preoccupazione e in preda a un dolore crescente, trovai momentaneo conforto nelle due bagnine spagnole che casualmente si trovavano in vacanza in quella stessa spiaggia. Ahimè nel seminario di primo soccorso non avevano imparato a curare punture di animali in incognito. Decisi dunque che l’unica soluzione sarebbe stata andare in ospedale. Ma dove?

La prima cosa da fare era capire dove si trovasse l’ospedale più vicino. La seconda pregare che si trattasse di una struttura in buone condizioni, pulita e con uno staff che almeno parlasse inglese. Mentre cercavo di mettere insieme pezzetti di informazione raccolti dai vari astanti che curiosi, solidali e preoccupati si avvicinavano al piede deforme, capì che la mia unica speranza di salvezza si trovava a 50 km dalla spiaggia. Un po’ lontano considerando le strade non asfaltate, che l’unico mezzo di trasporto a disposizione sarebbe stato un tuk-tuk e che l’infezione al piede stava già raggiungendo la caviglia.

Proprio mentre mi aiutavano a salire sul tre-ruote sgangherato, un signore anziano, stranamente simile a mio nonno (in versione singalese, è chiaro!), guardò rapidamente il mio piede e insistette nel portarmi a vedere un suo amico che sarebbe stato in grado di aiutarmi. Che fare? Con un piede grosso come uno zampone, l’infezione galoppante e la preoccupazione di non arrivare in tempo all’ospedale per salvare il mio zoppicante arto, decisi di affidarmi alla gentilezza del mio nonno Srilankese che offriva la soluzione più rapida e ci recammo due strade più in là (sempre in tuk-tuk, ormai camminare era diventato impossibile) da quello che io oggi chiamo ancora lo stregone del villaggio che mi salvò la vita.

Stregone non perché rivestito di piume di uccelli esotici o pronto a sgozzare capretti per curarmi, ma semplicemente perché mise in pratica rituali così lontani dalle procedure mediche occidentali a cui sono abituato, che mi fece pensare che quello che stava facendo al mio piede fosse più vicino alla magia che alla scienza. Fatto sta che le sue pratiche ayurvediche mi curarono il gonfiore in un battibaleno ed arrestarono la propagazione dell’infiammazione.

Con molta professionalità, come se le punture di insetti misteriosi le curasse tutti i giorni, mi tolse immediatamente il dolore con degli incensi profumati, mi lavò accuratamente il piede, me lo coperse con un impasto puzzolente fatto di solo-dio-sa-cosa che preparò davanti ai miei occhi mescolando delle erbe raccolte fresche nel suo giardino, mi bendò con una garza bianca che sono sicuro Anna Wintour non avrebbe mai approvato, e mi disse che avrei dovuto indossare solo sandali per una settimana per lasciar correr aria sulla ferita. Il tutto con il sorriso, con la gentilezza di chi sa cosa sta facendo e con una calma che tranquillizzò il mio stato di agitazione restituendomi un equilibrio mentale che secondo la concezione olistica della sua pratica medica avrebbe velocizzato il processo di recupero.

Al giorno d’oggi non so ancora cosa mi punse né cosa mi mise sul piede. Però ricordo il dolore, la sensazione di non poter più camminare e la preoccupazione di non sapere nelle mani di chi sarei finito. Ricordo anche che il dolore scomparve nel giro di poco, che il piede si sgonfiò dopo un solo giorno, che non ebbi nessun problema o ripercussione e che lo “stregone” mi obbligò a tenere le bende (che fra impasto e sandali non erano più bianche) fino al mio ritorno a Barcellona.

Ma so anche che se non avessi deciso di affidarmi alle cure ed attenzioni di perfetti sconosciuti dalla lingua curiosa e l’inglese vacillante e alla loro antica medicina, così lontana dall’occidente i cui prodotti industriali riempiono il mio kit da viaggio, avrei potuto rischiare di arrivare troppo tardi in ospedale e non avrei potuto godere del resto della mia meravigliosa vacanza in una terra che conquistò un pezzettino del mio cuore, non solo per la sua bellezza ma proprio per le sue antiche e provvidenziali tradizioni che mi restituirono il piede così come l’avevo sempre avuto. Al giorno d’oggi non mi sono mai più imbattuto nell’ayurveda ma sono infinitamente grato all’universo per aver fatto sì che esistesse nel momento giusto e nel posto giusto, a 8590 km da casa.

Edmondo Pezzopane

Scritto da Edmondo Pezzopane

Pubblicato dalla nostra cara Project Manager Katerina.

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